Traduzione e note di Paolo Bernardi

Sul mantenimento dell’equilibrio fra gli organismi animali e vegetali nell’acqua marina

di Robert Warington, Esq.
(Londra, Apothecaries’ Hall, 10 settembre 1853)

Nei resoconti pubblicati dei miei esperimenti del 1849, intesi a mantenere l’equilibrio tra gli organismi animali e vegetali entro una porzione confinata e limitata d’acqua, fu dimostrato che, in conseguenza della naturale decadenza delle piante, della loro successiva decomposizione e della formazione di miasmi a essa conseguenti, tale equilibrio non poteva sostenersi che per breve tempo; ma se vi si introducevano nuovi membri del regno vegetale, capaci di neutralizzare quei prodotti di disfacimento,funzione che le diverse specie di chiocciole d’acqua dolce sanno così mirabilmente esercitare, allora il sistema poteva mantenersi senza difficoltà.
Aggiungo altresì che la prova sperimentale di ciò è stata condotta, in un piccolo serbatoio nel mio laboratorio di Londra, per oltre quattro anni e mezzo, senza alcun cambiamento o disturbo della materia vivente, salvo la naturale perdita dovuta al tempo, immediatamente compensata con pioggia o acqua distillata, e senza mai riscontrare un aumento apprezzabile dei principi minerali disciolti.

Tale risultato, dimostrando la verità del principio, mi indusse a chiedermi se lo stesso equilibrio potesse essere ottenuto anche in acque marine; e in un breve scritto pubblicato nel Gardeners’ Botanical Magazine del gennaio 1852 accennai di trovarmi, in quel tempo, impegnato in esperimenti analoghi con l’acqua del mare, impiegando alcune delle alghe verdi come rappresentanti del regno vegetale e il comune Periwinkle (la chiocciola marina Littorina) quale corrispettivo animale.

L’acqua marina impiegata per tali esperimenti fu ottenuta per mezzo delle barche da ostriche al mercato di Billingsgate, prelevata dal mezzo del Canale della Manica.
Su consiglio di alcuni amici esperti in questioni di fisiologia marina, mi servii di Ulva ed Enteromorpha come vegetali principali, poiché già in buono stato di salute e fissate a piccoli frammenti di roccia o gesso provenienti dalle coste presso Broadstairs. Vi aggiunsi parecchi esemplari di Periwinkle (N.d.R. indica una piccola chiocciola marina appartenente al genere Littorina), i quali prosperarono vigorosamente, e l’intero insieme rimase per lungo tempo in perfetta condizione.

I miei primi tentativi furono condotti in uno dei piccoli recipienti già usati per gli esperimenti d’acqua dolce; ma poiché le prove con le alghe brune e rosse fallirono, producendo una grande quantità di muco e sostanze gelataginose, e l’acqua divenne torbida e fetida, decisi per comodità di impiegare un vaso di terracotta poco profondo, ricoperto superiormente con una lastra di vetro per difenderlo dalla polvere e limitare l’evaporazione.
Con questo metodo ottenni il mantenimento, per molti mesi, di una grande varietà di bellissimi animali marini in perfetta salute sino all’autunno del 1852.

Da tali esperienze trassi impulso a costruire un serbatoio più ampio e stabile, che potesse servirmi per osservazioni di lunga durata.
La vasca fu collocata vicino alla finestra del mio laboratorio, il fondo coperto da uno strato di sabbia fine e frammenti di ardesia. Le pareti furono cementate, lasciando alcune cavità dove gli animali potessero nascondersi; una breve spiaggia di ciottoli fu costruita per ottenere tratti di acqua bassa, e la vasca interamente coperta da una lastra di vetro chiaro, atta a impedire la caduta di polvere e a ridurre l’evaporazione.

Con l’acqua marina così predisposta nel gennaio 1852, e dopo aver superato gli insuccessi delle prime prove, ho continuato ininterrottamente sino a oggi le mie osservazioni, mantenendo un moto costante dell’acqua e vigilando che le perdite per evaporazione fossero compensate con acqua distillata.
Per lunghi mesi, la vita degli organismi contenuti nel serbatoio è rimasta perfettamente sana; e dopo la pubblicazione, nell’ottobre 1852, dell’articolo del mio amico P. H. Gosse, allora soggiornante a Ilfracombe, egli stesso, mosso da benevolenza, mi fornì diversi materiali viventi, che aggiunsi con successo ai miei.

Non si pensi tuttavia che la riuscita di tali esperimenti sia ottenuta senza difficoltà: basta un leggero turbamento dell’equilibrio a compromettere l’intero insieme.
Oltre a ciò, il tempo richiesto per osservare e curare questi organismi è assai considerevole; e confesso che, pur amando profondamente tali creature, i miei impegni professionali mi costringono talora a rinunciare alle osservazioni per lunghi periodi.

Le maggiori perdite che subii derivarono da un eccessivo zelo nel trasferire, nel dicembre 1852, la mia collezione in una nuova vasca. In quell’occasione, molti esemplari preziosi andarono perduti; ma fra i sopravvissuti, alcuni si distinsero per particolare bellezza, come la Holothuria (oloturia) e il piccolo Symplectus lambriformis.
Fu allora che mi resi conto di un grave problema: la tendenza di certi animali a divorarsi reciprocamente.
Ciò rese evidente quanto fosse necessario stabilire, con prudenza, quali specie potessero convivere pacificamente. Per esempio, scoprii che i crostacei — specialmente gamberi e granchi — si mostravano voracissimi e insidiosi; i grossi esemplari di Cancer Mænas (granchio verde comune) erano particolarmente distruttivi, predando molluschi, polipi, anellidi e perfino piccoli pesci.
Per questo dovetti separare gli animali in diversi recipienti: in uno collocai Actiniæ, Shrimps, Holothuriæ, Annelida e Crabs; in un altro le Actiniæ con anellidi, Gobies, Cottus, e altri pesciolini rocciosi; in un terzo, coralli, sabellaridi, serpulidi e altri policheti sedentari.

Un curioso incidente mi insegnò quanto sia delicato l’equilibrio di questi microcosmi. In una delle vasche destinata ai molluschi e ai gobidi, un’ostrica aperse le valve e un piccolo Gobius niger, spinto dalla curiosità, vi penetrò, rimanendo prigioniero: l’ostrica si richiuse e il pesce fu trovato morto il giorno dopo.
Da ciò imparai che le più minute circostanze possono produrre effetti imprevisti e spesso fatali.

Un punto di somma importanza riguarda la densità specifica dell’acqua marina: essa deve essere accuratamente regolata.
Bisogna tener presente che molti organismi assorbono acqua attraverso le proprie membrane e che un’eccessiva diluizione può nuocere gravemente.
La densità non deve scendere sotto 1,026 a 60° F (N.d.R. 15,6° C), e deve essere controllata con un piccolo areometro (N.d.R. oggi densimetro), specie nei mesi estivi.
Quando il valore cala, si può ripristinare con l’aggiunta di una modesta quantità di sale marino.

Parimenti, ogni sostanza in putrefazione, resti di cibo o escreti delle Actiniæ, dev’essere rimossa con cura, poiché i composti prodotti da tali materiali si diffondono nell’acqua come un veleno sottile, corrompendo in breve la salute generale.
Per raccogliere le impurità impiegai piccoli tubi di vetro o bicchieri a fondo piatto, collocati nel punto più basso della vasca.

Salvo questi incidenti, tutto è proceduto felicemente: le mie piccole comunità marine prosperano, e l’acqua conserva la sua limpidezza.
Ma quando, per imprudenza, vi si introducono troppi animali rispetto alla massa vegetale, il sistema degenera rapidamente: l’acqua si intorbida, le alghe si disfano, e occorre tempo per ristabilire le condizioni originarie.

In un numero recente dello Zoologist, ebbi occasione di menzionare l’utilità della Zostera marina per ossigenare l’acqua; ma l’esperimento non si è mostrato favorevole, poiché la pianta, crescendo in substrato sabbioso, richiede uno strato di limo o fango che in breve corrompe il fondo.
Ritengo tuttavia che altre piante marine potranno in futuro mostrarsi idonee a tal fine, e mi propongo, non appena il tempo me lo consentirà, di continuare tali osservazioni, che reputo di sommo interesse per la storia naturale del nostro Paese.

Apothecaries’ Hall, Londra – Settembre 1853
Robert Warington


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