Traduzione e note di Paolo Bernardi

Osservazioni sulla storia naturale della chiocciola d’acqua e dei pesci tenuti in un ristretto e limitato volume d’acqua

di Robert Warington, Esq.
(Londra, Apothecaries’ Hall, 10 settembre 1852)

Signori,

Le osservazioni che seguono furono redatte col proposito di essere presentate ai membri della Sezione di Storia Naturale dell’Associazione Britannica durante il recente incontro di Belfast; ma, essendo stato trattenuto da impegni urgenti e inaspettati, fui costretto, mio malgrado, a rinunziare a tale piacere e a privarmi della soddisfazione di discutere l’argomento di persona dinanzi ai più eminenti naturalisti riuniti in quell’occasione. Il tempo a mia disposizione era così scarso da non permettermi di trascrivere in forma leggibile le note che avevo raccolto; nondimeno, se le riterrete degne del vostro stimato Giornale, la loro pubblicazione mi sarà motivo di sincera gratitudine.

Con profonda stima,
Robert Warington.


Il mio intento nel presentare queste osservazioni al pubblico è quello di attirare, con maggior precisione di quanto non abbia fatto sinora, l’attenzione dei naturalisti e di coloro che traggono diletto nello studio delle meraviglie e degli arcani della Natura, su certe forme di vita animale e vegetale capaci di sussistere e prosperare entro limiti tanto angusti da apparire, a prima vista, incompatibili con la loro stessa esistenza. Quando dico ciò, debbo altresì premettere che queste osservazioni furono compiute da un dilettante privo di profonda esperienza nelle scienze naturali, un semplice appassionato che, nei ritagli di tempo concessi dalle occupazioni quotidiane, cercò di trarre godimento da piccoli esperimenti condotti entro modesti confini.
Se il mio esempio potrà indurre altri a seguire la medesima via con maggior costanza e spirito d’indagine, il premio che ne ricaveranno sarà certamente abbondante.

Queste ricerche trassero origine da certi esperimenti che pubblicai tempo addietro nel Quarterly Journal of the Chemical Society e nel Garden Companion di gennaio 1852. Esse riguardavano la possibilità di mantenere, in equilibrio stabile, la vita animale e vegetale in un ristretto volume d’acqua, principio che, con le debite proporzioni, può essere esteso su scala assai maggiore e che, a mio giudizio, non tarderà a fornire risultati di grande rilievo.


La chiocciola d’acqua.
Questo umile ma importante essere è in tutti i casi indispensabile, ove si voglia mantenere il necessario equilibrio fra la crescita delle piante acquatiche e la decomposizione della materia organica.
Iniziando i miei esperimenti, nei primi mesi del 1849, mi valsi del Limnaeus stagnalis; ma dovetti ben presto sostituirlo, poiché, crescendo a dismisura, divorava con eccessiva voracità le foglie della Vallisneria spiralis, danneggiandone il rigoglio. Mi rivolsi dunque ad altre specie più miti, come il L. auricularia, il L. glutinosa e, in seguito, ad altre forme minori quali la Planorbis fontinalis, la Bithinia tentaculata, la Planorbis corneus e la P. carinatus. Queste ultime si mostrarono più adatte, sia per la lentezza del loro accrescimento, sia per la minor propensione a distruggere la vegetazione circostante.

Fu interessante osservare come queste chiocciole possedessero la singolare facoltà di muoversi rapidamente sulla superficie dell’acqua con il guscio rivolto verso il basso, aderendo con il piede al velo d’aria che separa l’acqua dall’atmosfera. Anche la Planorbis può fissarsi al vetro per mezzo del lato superiore del piede e rimanervi per giorni interi.
Notai altresì che, nel loro nuotare, queste chiocciole spesso si sollevavano verso la superficie, trascinando con sé bollicine d’aria, o si lasciavano cadere lentamente verso il fondo con un movimento ondulatorio grazioso e continuo.

Durante tali osservazioni, mi avvidi di un’altra meraviglia: alcune di esse sembravano risalire e scendere lungo le foglie della Vallisneria non per propria forza, ma trattenute da un filo o esile ragnatela invisibile, tanto sottile da ricordare quella del ragno. Su tale filo esse potevano arrampicarsi o scendere a piacimento, riutilizzandolo più volte per tornare al punto di partenza.
Fu così che compresi come il loro modo di locomozione fosse assai più complesso e ingegnoso di quanto non apparisse a un primo sguardo.

Si notò, inoltre, che le chiocciole deponevano gran quantità d’uova, e che, appena schiuse, le giovani venivano divorate dai pesci, i quali ne limitavano così naturalmente la moltiplicazione eccessiva.


Il pesce spinarello (Gasterosteus leiurus).
Questo piccolo e bellissimo pesce offrì materia di osservazione non meno interessante. Da tempo ne studiavo le abitudini, ma solo ora credo di poter riferire con sufficiente chiarezza le mie esperienze.
Nel maggio del 1851, un amico mi fornì un maschio e una femmina di spinarello; quest’ultima era gravida di uova. Furono introdotti nei miei piccoli stagni insieme ad alcuni altri pesciolini, e immediatamente il maschio cominciò a mostrare segni di territorialità: difendeva con furore una determinata zona, scacciando chiunque vi si avvicinasse.
Il giorno successivo lo vidi impegnato a raccogliere piccoli frammenti di radici e sabbia, trasportandoli uno ad uno verso un punto preciso, come per costruire una piccola dimora. Ben presto compresi che stava edificando il suo nido, una minuscola cupola formata da particelle finissime di sabbia e ciottoli, saldati insieme da un materiale vischioso che egli stesso secreta.

L’ardore con cui difendeva la sua opera era straordinario: ogni volta che un altro pesce osava avvicinarsi, egli lo affrontava con violenza, respingendolo con colpi rapidi e furiosi.
Quando ebbe terminato il nido, e la femmina, dopo molti giorni di esitazione, vi depose finalmente le uova, il maschio prese a custodirle con somma diligenza, muovendo costantemente le pinne per mantenere l’acqua in delicato moto, quasi ventilando la nidiata.
Più volte lo vidi aggiungere nuova sabbia, sistemare il materiale, consolidare le pareti: un’opera di architettura acquatica di sorprendente perfezione.

Ogni particella che trasportava era attentamente esaminata: se troppo leggera, veniva abbandonata; se pesante o inadatta, rifiutata. Solo dopo innumerevoli prove, la particella giudicata idonea era collocata nel punto esatto.
Questo incessante lavoro di selezione e di posa durò ore intere. Il nido, quando fu compiuto, era un piccolo miracolo di ingegno: stabile, compatto, con due aperture, una d’ingresso e una d’uscita, destinate al passaggio dei genitori.

Quando infine la femmina ebbe deposto le uova, il maschio le ventilò e le sorvegliò con tenera costanza. Tuttavia, in un secondo esperimento, osservai come le cure del maschio potessero degenerare in furia distruttiva: nel tentativo di difendere il nido da altri pesci, egli stesso finì col danneggiarlo e disperdere parte delle uova.
Questa triste esperienza mi insegnò quanta prudenza richieda l’osservazione di tali fenomeni in spazi ristretti.

La colorazione dello spinarello maschio durante il periodo nuziale è di straordinaria bellezza: un vivissimo rosso cremisi sul ventre, riflessi verdi e azzurri sul dorso, l’occhio che brilla d’un azzurro turchino. La femmina, più modesta, mostra tinte brune e grigiastre.
Col trascorrere delle settimane, questi colori si attenuano, e l’animale ritorna alla livrea ordinaria.

Nel corso dell’anno successivo, ebbi il piacere di osservare nuovamente la costruzione del nido sin dalle prime fasi. Ogni atto del piccolo architetto marino mi parve ispirato da un istinto costante e preciso: raccogliere fibre vegetali, disporle a croce, cementarle con sabbia e colla, finché l’intera struttura non risultava perfettamente consolidata.
Ogni fibra era scelta con cura, provata, spostata, e, se inadatta, rigettata.
Talvolta, per accertarsi del peso specifico del materiale, il pesce lo lasciava cadere nell’acqua, osservava la velocità con cui scendeva, e poi lo riprendeva se la prova era soddisfacente.

Osservai infine che, quando il nido era ultimato, il maschio vi sostava dentro quasi interamente, muovendo il corpo con rapidi tremiti per compattare e stabilizzare la struttura, e spazzando via con le pinne le particelle leggere.
Tutta l’opera di edificazione richiese all’incirca quattro ore; e quando il nido fu giudicato pronto, il maschio vi attese, impaziente, l’arrivo della femmina per la deposizione delle uova.

Così si conclusero le mie esperienze dell’anno 1851.
Mi parve doveroso riferirle con la semplicità con cui furono compiute, nella speranza che possano offrire qualche utile spunto a chi desideri, come me, osservare nei limiti d’una stanza cittadina i delicati segreti della vita acquatica.
Se tali fenomeni si manifestano entro vasi d’acqua così ristretti, quanto più meravigliosi dovranno apparire nei vasti teatri della natura!

Londra, settembre 1852.
Robert Warington

Fine articolo originale


N.d.R. Nel 1852 la tassonomia dei Gasterosteus (gli spinarelli) era ancora instabile e dibattuta.
Naturalisti diversi (come Cuvier, Yarrell, Jenyns, Valenciennes) riconoscevano da tre a sei specie distinte di spinarello in Gran Bretagna, basandosi su:

  • numero e lunghezza delle spine dorsali,
  • forma del peduncolo caudale,
  • colorazione e proporzioni del corpo.

Fra le denominazioni in uso c’erano:

  • Gasterosteus aculeatus (lo spinarello a tre spine, comune);
  • G. pungitius (lo spinarello a dieci spine, più minuto);
  • G. leiurus, G. brachycentrus, G. semiarmatus, ecc.

Warington segue la classificazione di Jenyns (1842) e di Yarrell (1841), secondo cui Gasterosteus leiurus era una varietà a coda corta (dal greco leios = liscio, oura = coda) del comune spinarello, distinta per:

  • il corpo più compresso lateralmente,
  • il peduncolo caudale più corto e arrotondato,
  • una colorazione più vivida nel maschio in riproduzione.

È molto probabile che gli esemplari di Warington fossero effettivamente dei normali G. aculeatus, ma con lievi variazioni morfologiche, tipiche delle popolazioni di stagni chiusi o fossati londinesi.

Oggi, la tassonomia è stata semplificata:

  • Gasterosteus aculeatus = la specie principale (con molte sottopopolazioni).
  • Gasterosteus leiurus è considerato una variante locale o sinonimo junior di G. aculeatus.

Quindi:

Quando Warington parla di Gasterosteus leiurus, intende lo stesso pesce che oggi chiamiamo “spinarello a tre spine” (G. aculeatus).


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