di Paolo Bernardi

Oggi, chiunque abbia un po’ di manualità e una buona dose di pazienza può costruire da sé una vasca per acquario, soprattutto se si tratta di un formato piccolo o medio. Realizzarne una in casa non è un’impresa molto difficile, e molti acquariofili appassionati ci hanno provato almeno una volta. Tuttavia, chi si cimenta in questo progetto scopre presto un dettaglio interessante: il costo dei materiali grezzi, soprattutto del vetro tagliato su misura e con bordi lavorati, è spesso superiore a quello di una vasca commerciale già pronta, ma questa è un’altra storia.
Ciò che rende oggi possibile l’autocostruzione è una rivoluzione tecnica introdotta solo nella seconda metà del Novecento: il sigillante siliconico. Introdotto inizialmente negli anni ’50–’60 per applicazioni industriali, il silicone è stato rapidamente adottato anche nel campo dell’acquariofilia, trovando largo impiego tra gli hobbisti a partire dagli anni ’70.
Il silicone ha caratteristiche che lo rendono ideale per la costruzione di vasche in vetro:
- Aderisce perfettamente al vetro senza bisogno di cornici o staffe metalliche.
- Una volta indurito, resta elastico e assorbe bene le piccole dilatazioni termiche o le leggere flessioni della vasca.
- È atossico per i pesci e le piante (purché si utilizzi silicone neutro, senza antimuffa o fungicidi).
- Garantisce un’eccellente tenuta stagna, a patto che sia applicato correttamente su vetri puliti e sgrassati.
Insomma, se oggi possiamo permetterci di dire “me lo costruisco da solo”, lo dobbiamo in buona parte a una piccola, grande invenzione: quel cordoncino di silicone trasparente che ha reso l’acquario moderno più accessibile, più sicuro e più democratico.
Costruirsi un acquario nel 1860: tra ferro, vetro e mastice bollente
Facciamo un salto indietro nel tempo e immaginiamo di trovarci nel pieno del primo grande boom dell’acquariofilia, esploso nella seconda metà dell’Ottocento in Inghilterra, Germania, Francia e Stati Uniti. Siamo nel 1860: l’acquario è ancora un oggetto esotico, raro, a metà tra curiosità scientifica e status symbol borghese.
Mettersi in testa di realizzare un acquario in casa nel 1860 era tutt’altro che semplice. Non bastava andare in un negozio o ordinare online una vasca pronta: si trattava di un progetto artigianale complesso, che richiedeva manualità, competenze e una rete di artigiani specializzati.
La struttura portante era realizzata in ferro battuto, saldato o bullonato, generalmente realizzata su misura da un fabbro esperto. Le cornici in ferro avevano il compito di tenere insieme i vetri e fornire la stabilità meccanica alla vasca. La precisione era fondamentale: eventuali imperfezioni nella struttura avrebbero causato perdite o rotture.
Procurarsi vetro adatto non era affatto banale. I vetri dell’epoca erano spesso imperfetti, con bolle d’aria, distorsioni ottiche e spessori irregolari. Per un acquario servivano vetri sufficientemente trasparenti e resistenti alla pressione dell’acqua, tagliati a misura da un vetraio professionista. In molti casi, si preferiva non utilizzare il vetro per il fondo.
Il fondo della vasca era quasi sempre realizzato in ardesia naturale, un materiale piatto, resistente, facilmente lavorabile e impermeabile. Il vetro, all’epoca, non offriva le garanzie di robustezza necessarie per sopportare il peso dell’acqua sul lungo periodo, e l’ardesia era quindi la scelta migliore per la base.
Il silicone? Arriverà solo cent’anni dopo. Nel 1860, per rendere stagna la vasca, si usava un mastice artigianale, una miscela collosa e appiccicosa che veniva scaldata a bagnomaria e applicata calda lungo i giunti tra vetro e ferro.
La miscela comprendeva:
- 4 parti di pece (bitume naturale o resina fossile)
- 2 parti di rosina (resina dura ottenuta dalla distillazione della trementina di pino)
- 1 parte di cera d’api
- 1 parte di olio di lino cotto (olio siccativo, che aiutava a rendere il mastice più fluido e aderente)

In alcuni casi si aggiungevano anche ossido di piombo o bianco di piombo (carbonato basico di piombo), per migliorare la tenuta e velocizzare la solidificazione.
Nota bene: oggi questi componenti sono considerati tossici e pericolosi, e ne è vietato l’uso.
Caratteristiche del mastice storico
Pro | Contro |
Impermeabile e resistente all’acqua | Non completamente trasparente |
Morbido da caldo, facile da applicare | Fragile a basse temperature |
Buona adesione iniziale | Soggetto a fessurazioni e asciugatura nel tempo |
Facile da produrre con materiali locali | Scoloriva alla luce e si decomponeva |
Il risultato era una pasta nera o marrone scuro, appiccicosa, che veniva spalmata tra le lastre di vetro e le cornici metalliche per creare una sigillatura. Non aveva funzione portante: l’adesione strutturale era affidata al telaio in ferro, non al mastice stesso.
- Il celebre acquario della Zoological Society di Londra, inaugurato nel 1853, utilizzava proprio questo tipo di mastice.
- Le vasche in vetro e ferro con mastice segnarono un salto tecnologico: prima si usavano recipienti opachi in zinco, rame, ceramica o pietra, e la vita dei pesci era osservabile solo dall’alto.
Fino agli anni ’20–’30: mastici a base naturale
Nei primi decenni del Novecento, si continuano a usare varianti migliorate del mastice ottocentesco:
- Composti a base di pece, cera, resine e oli essiccativi.
- Migliorati in adesione e durata grazie all’aggiunta di vernici marine, bitumi industriali, o composti metallici (piombo, zinco).
- Usati in acquari con struttura in ferro o legno, dove il mastice serviva solo da sigillante, non da collante strutturale.
Problema: col tempo, questi sigillanti tendevano a indurire e fessurarsi, perdendo tenuta. Inoltre, erano tossici per i pesci, se non perfettamente stagionati o protetti da strati impermeabili.
Anni ’30–’50: nascono i mastici sintetici a base di gomma e solventi
Con l’avvento dell’industria petrolchimica:
- Si introducono mastici a base di gomma naturale o gomma clorurata (tipo neoprene), mescolati con solventi organici (come toluene o benzina).
- Questi prodotti migliorano la flessibilità e la resistenza all’acqua, ma richiedono l’uso di primer o rinforzi meccanici (telai, cornici).
- Sono usati anche nei primi acquari da esposizione pubblica, ma rimangono di difficile utilizzo domestico.
Questa storia dimostra quanto l’acquario sia una conquista moderna. Se oggi possiamo acquistare una vasca in vetro siliconato pronta all’uso, lo dobbiamo a decenni di tentativi, esperimenti e ingegno artigianale.
E se per caso ti viene voglia di rifarlo “come nel 1860”, ricorda che… meglio il silicone!
Fonti
- Gosse, Philip Henry, The Aquarium: An Unveiling of the Wonders of the Deep Sea (1854). Londra: John Van Voorst. Considerato il primo manuale moderno sull’acquario. Descrive materiali e tecniche in uso nell’Inghilterra vittoriana.
- S. Hibberd, The Book of the Aquarium and Water Cabinet (1856), Routledge, Londra. Contiene descrizioni dettagliate su mastici, vetri, telai e materiali per acquari domestici del XIX secolo.
- Scientific American, varie edizioni tra il 1850 e il 1880. Articoli tecnici e pratici su acquari, mastici, vetri, costruzioni artigianali e “hobby scientifici” dell’epoca.
- Enciclopedia Britannica (11ª edizione, 1911), voce “Aquarium”. Spiegazione tecnica dei materiali e delle tecnologie disponibili fino ai primi del Novecento.
- Mattia Ceruti, “Storia dell’acquario: dagli specchi d’acqua ai vetri siliconati”, in “Di Pagine e di Bestie”, 2022. Approfondimento italiano con riferimenti storici e fonti d’archivio europee e americane.
- Archivio storico della Zoological Society of London, rapporti sulle strutture dell’acquario del 1853. Dettagli tecnici sul mastice usato e sulle vasche espositive in ferro/ardesia.
- Articoli storici tradotti da riviste francesi e tedesche, in particolare:
- Le Monde des Plantes Aquatiques (Parigi, 1872)
- Deutsche Aquarienzeitung (Amburgo, 1885)
- Fonti dirette di osservazione:
- Ispezione di immagini e illustrazioni d’epoca
- Collezioni digitalizzate da archive.org, Biodiversity Heritage Library, Gallica (BNF)
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