di Paolo Bernardi
Questo articolo di Warington del 1851 è l’atto di nascita scientifico dell’acquario moderno fornendo una solida base scientifica alla successiva opera di divulgazione di P.H. Gosse.
Tanta biomassa vegetale, carico animale moderato, luce adeguata e piccoli “spazzini” (piccoli animali che pascolano su vetri, rocce e foglie mangiando alghe, biofilm e micro-detrito): è la ricetta che ancora regge la maggior parte delle vasche equilibrate.
Traduzione integrale in italiano del breve contributo di Robert Warington (1851) apparso nel Quarterly Journal of the Chemical Society of London, vol. 3, pp. 52–54, con il titolo:
IX Avviso di osservazioni sull’assestamento delle relazioni tra i regni animale e vegetale, per mezzo delle quali le funzioni vitali di entrambi sono permanentemente mantenute

In più occasioni mi è capitato di attirare l’attenzione della Società su alcuni fatti relativi al mantenimento di animali acquatici entro una porzione circoscritta d’acqua, e sull’influenza che piante sommerse esercitano nel conservare a lungo, in tali condizioni, le funzioni vitali tanto degli animali quanto delle stesse piante. I risultati ottenuti da questi tentativi mi paiono sufficientemente interessanti da meritare un breve resoconto.
È ben noto che i pesci e gli altri animali acquatici, quando vengano trattenuti in un recipiente chiuso con acqua stagnante, presto soffrono e in breve muoiono, se l’acqua non è frequentemente rinnovata. Ciò deriva in parte dal consumo dell’ossigeno disciolto e dall’accumularsi nell’acqua di anidride carbonica e di altri prodotti della respirazione e dell’escrezione; e in parte dall’azione delle sostanze organiche in decomposizione, le quali mettono in moto processi che alterano la purezza del fluido e ne rendono l’odore sgradevole.
D’altra parte, le piante acquatiche, quando crescono in acqua esposta alla luce, emanano bollicine d’aria; ed è pure risaputo che questa aria, in determinate circostanze, contiene ossigeno in quantità considerevole. Era dunque ragionevole supporre che, disponendo nel medesimo recipiente una conveniente proporzione di piante vigorose e di animali, si potesse stabilire un equilibrio tale per cui l’ossigeno fornito dalle piante reintegrasse quello consumato dagli animali, mentre l’anidride carbonica emessa dagli animali servisse, a sua volta, di nutrimento alla vegetazione; e che, entro i giusti limiti di numero e grandezza degli animali, e con luce sufficiente alla vegetazione, le funzioni vitali degli uni e delle altre potessero mantenersi per un tempo indefinito senza ricorrere a ricambi d’acqua o ad altri mezzi artificiali.
Per mettere alla prova questa congettura, nell’estate del 1849 preparai un vaso di vetro della capacità di circa tredici galloni, che collocai vicino a una finestra dove riceveva una buona quantità di luce diffusa ma non l’irraggiamento solare diretto. Dopo averlo riempito con acqua del rubinetto che avevo lasciato riposare perché si depositassero le impurità meccaniche, vi introdussi alcune piante acquatiche a foglie nastriformi comunemente coltivate (Vallisneria, detta talvolta “eel-grass” ovvero erba di mare), insieme con qualche altra specie sommersa che avevo a disposizione. Aggiunsi poi alcuni pesci di piccola taglia (pesci rossi) e alcune chiocciole d’acqua dolce, scelte perché note per la loro disposizione a nutrirsi di materie vegetali tenere e di alghe che incrostano il vetro.
Nelle prime giornate, particelle minute di materia vegetale si staccarono dalle piante o furono prodotte dalla loro potatura e si diffusero nella massa d’acqua; ma le chiocciole provvidero in breve a consumarle, e le superfici del vetro, che tendevano a velarsi, furono costantemente ripulite dai loro movimenti. Con l’andar del tempo, le piante presero a crescere con vigore: in giornate luminose si vedevano sorgere da esse, in perle copiose, bolle che salivano rapidamente verso la superficie, prova manifesta che un gas, per l’esperienza ossigeno, veniva liberato nell’acqua.
Osservai, d’altro canto, che i pesci si mostravano attivi e in buona salute; non si notava alcun odore sgradevole provenire dal vaso; l’acqua rimaneva limpida; e per molti mesi non fu necessario rinnovarne alcuna porzione. In alcuni periodi nuvolosi, quando la luce era scarsa per più giorni consecutivi, i pesci apparivano talora meno vivaci, ma non si verificò alcun fenomeno tale da far temere per la loro vita; e, al ritorno del tempo sereno, tutto recuperava prontamente il suo consueto aspetto.
È degno di nota che, quando per prova accrebbi il numero dei pesci oltre la misura che le piante potevano sostenere, l’equilibrio si turbò: l’acqua divenne torbida, si sviluppò quell’odore che accompagna i processi di decomposizione, e gli animali manifestarono evidente sofferenza. Togliendo i soggetti sovrannumerari, l’ordine fu ristabilito. Ne trassi conferma che il risultato dipende da una giusta proporzione tra la massa vegetale e quella animale, nonché dalla sufficiente esposizione alla luce; e che, entro tali limiti, le funzioni vitali dei due regni possono realmente mantenersi a vicenda per un lungo corso di tempo.
Talvolta ho aggiunto una piccola quantità di nuova acqua, non come necessità, ma per ovvia precauzione e per compensare quella parte che, nonostante la copertura, andava perduta per evaporazione. Non adoperai alcun mezzo di aerazione artificiale; e non vidi ragione di ritenere che, nelle condizioni descritte, simile provvedimento fosse richiesto.
Queste osservazioni, sebbene semplici, paiono offrire non solo un dilettevole esperimento per il salotto, poiché nulla è più gradevole alla vista della crescita continua delle piante e dei movimenti dei pesci in un’acqua perfettamente chiara, ma anche un utile ammaestramento rispetto all’economia naturale: esse mostrano, in un piccolo spazio, quell’armonico adattamento per cui ciò che è esalato o rifiutato da un ordine di esseri diventa il necessario alimento dell’altro. In verità, non v’ha dubbio che, entro i confini qui accennati, il sistema possa essere mantenuto per un tempo indefinito; e io non esiterei a raccomandare questo genere di disposizione a chiunque desideri osservare da vicino i fenomeni della vita acquatica senza incorrere negli inconvenienti che sogliono accompagnare i comuni recipienti.
Aggiungerò che la presenza di un piccolo numero di chiocciole si è mostrata singolarmente vantaggiosa: esse tengono nette le superfici e consumano prontamente quei minute frammenti di vegetazione che, altrimenti, rimanendo in sospensione, potrebbero offrire il primo germe di putrefazione. Le piante, d’altra parte, richiedono di essere scelte fra quelle che prosperano bene totalmente sommerse e che non si disfano facilmente in acqua; e, quanto alla luce, l’esperienza insegna che una illuminazione diffusa e costante è preferibile a un sole diretto e ardente, che può, in breve, favorire un eccesso di crescita algale.
Ritengo, dunque, che i fatti sopra narrati attestino in modo sufficiente la possibilità di conservare, in una limitata porzione d’acqua e senza ricambio, tanto animali quanto piante, a condizione che si stabilisca tra essi una relazione proporzionata e che si fornisca alla vegetazione quella dose di luce senza la quale la funzione che le è propria e dalla quale l’intero sistema dipende non può essere efficacemente esercitata.
R. Warington pubblicato nel 1851

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