Traduzione e note di Paolo Bernardi

XXIV. Sul mantenere in vita Animali e Piante marine in acqua di mare non rinnovata.
Di P. H. Gosse, A.L.S. (ndr Associate of the Linnean Society di London)

Agli Egregi Redattori degli “Annals of Natural History”.

Signori,
In un recente fascicolo del “Chambers’ Edinburgh Journal” (luglio 1852) mi è stato segnalato un articolo sul mantenere l’equilibrio fra la vita animale e quella vegetale in un acquario, il sig. Warington, i cui esperimenti vi sono richiamati, è riuscito a conservare insieme piante e animali viventi in acqua dolce, e annunzia di “tentare un consimile ordinamento con una porzione delimitata d’acqua marina, impiegando alcune delle alghe verdi quali membri vegetabili del circolo; e il comune bigolaro o murice (ndr due lumache di mare) per rappresentare le Limnee”, che nel primo caso gli si erano mostrate utili nel consumare la mucillagine prodotta dal deperimento della sostanza vegetale.

La priorità di pubblicazione è universalmente riconosciuta come titolo all’onore che s’addice a una nuova scoperta; e ciò non intendo disputare col sig. Warington. Mi sia tuttavia concesso di dichiarare come, da qualche considerevole tempo, io pure prosegua esperimenti sul medesimo soggetto.

Da parecchi anni volgo attenzione ai nostri nativi Rotiferi, e nel corso di tali studi ho conservato acqua dolce in vasi di vetro, senza mai rinnovarla d’anno in anno, e nondimeno perfettamente chiara, salubre e atta al sostentamento della vita animale, per mezzo di piante acquatiche, quali Vallisneria, Myriophyllum, Nitella e Chara (ma particolarmente le prime due), che vi crescevano. Non solo gli infusori e i Rotiferi si riprodussero in successive generazioni in questi recipienti non rinnovati, ma anche Entomostraci, Planarie, Naidi ed altri Anellidi, e Idre continuarono le proprie stirpi; e i giovanili dei nostri pesci di fiume poterono mantener vita per alcune settimane in uno stato che appariva sano, benché (forse per cause non connesse con la purezza dell’acqua) non mi sia riuscito di conservarli a lungo.

La possibilità d’ottenere simili esiti con l’acqua marina s’era affacciata alla mia mente, così come a quella del sig. Warington; e il tema della coltivazione delle alghe marine era divenuto mio prediletto pensiero, sebbene la dimora in Londra mi precludesse ogni opportunità di condurre a compimento il proposito. Ma nel corso dell’ultimo inverno, un’infermità mi spinse al lido del mare e mi offrì l’occasione tanto desiderata. Il mio concetto era appunto quello del sig. Warington: poiché le piante, in stato di salute, sotto lo stimolo della luce, sono note per emettere ossigeno e assimilare carbonio, mentre gli animali, d’altra parte, consumano ossigeno ed esalano acido carbonico, l’equilibrio fra i due potrebbe determinarsi sperimentalmente; e così il gran corso circolare di natura, la mutua dipendenza della vita organica, potrebbe imitarsi in piccola scala.

Il mio fine ultimo in tal congettura era duplice. Anzitutto, reputai che la presenza delle alghe più delicate (le Rhodosperme o famiglie rosse, specialmente, molte delle quali sono tra le più eleganti per colore e forma), crescenti in acqua di cristallina limpidezza entro un ampio vaso di vetro, sarebbe stato ornamento desiderabile in salotto o in sala; e che le attrattive di sì fatto oggetto si sarebbero accresciute per la convivenza d’animali curiosi e spesso di brillante livrea, quali le più rare conchiglie dei molluschi, le aggraziate Nudibranche e le numerose specie di Attinie marine, che di rado son vedute da alcuno se non dal naturalista di professione.

Ma ancor più vivo era in me il presentimento che, per tal via, grandi agevolezze si sarebbero aperte allo studio degli animali marini in condizioni non troppo dissimili da quelle di natura. Se le curiose forme che, per così dire, stanno sulla soglia della vita animale possono mantenersi in sano vigore sotto il nostro sguardo, in vasi ove possano osservarsi di giorno in giorno senza disturbo, e ciò per tempo abbastanza lungo da consentire lo svolgersi dei vari stati della loro esistenza, pareami che molto lume si sarebbe gettato sulle funzioni e abitudini di tali creature, sulla loro embriologia, metamorfosi ed altre particolarità, che altrimenti o resterebbero in oscurità, o sarebbero rivelate dalla capricciosa “fortuna dell’ora”.

Né queste speranze andarono del tutto deluse. I miei esperimenti, benché non ancora compiutamente riusciti e bisognosi di maggior cura e tempo per condurli a perfezione, hanno pur tuttavia stabilito il fatto che l’equilibrio tra pianta e animale può mantenersi per un periodo almeno considerevole, senz’alcuna perturbazione dell’acqua; mentre i miei vivarî (ndr ancora il termine aquarium non era stato coniato dallo stesso Gosse) mi hanno fornito il mezzo di molte indagini interessanti, i cui dettagli sto apparecchiando per la stampa.

La prima operazione era di ottenere le alghe in stato di crescita. Poiché non hanno proprie radici, ma in generale stanno strettamente aderenti alla roccia solida, dalla quale non si possono divellere senza lacerazione dannosa, ho sempre adoperato martello e scalpello per staccare un piccolo frammento della roccia stessa, tenendo a disposizione un vaso d’acqua marina entro cui lasciare cadere tosto il lacerto con il suo carico vivente, esponendolo il meno possibile all’aria. Le alghe rosse mi riuscirono le più fedeli: i Fuchi e le Laminaria, oltre a essere ingombranti e poco vaghe, emettono tanto copiosa mucosità da ispessire e corrompere l’acqua; le Ulve e le Enteromorfe, dall’altro lato, tendono a perdere il colore, ad assumere l’aspetto di carta d’argento bagnata, o di membrana incolore, e ben presto deperiscono e si distaccano. Le specie che ho trovato più attili a conservarsi vive sono Chondrus crispus, le Delesserie e Iridea edulis. Quest’ultima è la migliore in assoluto; e, subito dopo, la Delesseria sanguinea per il mantenimento della purezza dell’acqua; mentre i colori e le forme dell’una e dell’altra le rendono bellissimi oggetti in un vaso d’acqua tersa, specialmente quando la luce (per esempio da una finestra) è trasmessa attraverso le fronde dispiegate. Molti amici, scienziati e non, che hanno veduto i miei vasi di Alghe crescenti, in più tempi dell’anno corrente, tanto a Torquay quanto qui, hanno espresso viva ammirazione per sì bella e nuova mostra.

Non sono finora riuscito a conservare l’acqua per un periodo indefinito. Talora l’esperimento è del tutto fallito, le piante imputridendo e gli animali morendo quasi subito; più comunemente, però, l’insieme si è mantenuto in salute per parecchie settimane. Le note che seguono, tratte dal mio giornale, riferiscono i particolari del più felice dei miei tentativi.

Il 3 di maggio collocai in un profondo vaso cilindrico di vetro (un “show-glass” da confettiere), profondo 25 cm e largo 13.5 cm, circa 25 litri d’acqua marina, con alcune piante e animali marini.

Il 28 di giugno seguente esaminai il contenuto del vaso con quanta cura fu possibile senza vuotarlo o turbarlo oltre il necessario. Era rimasto scoperto sul tavolo del mio studio, o talvolta alla finestra, per tutto quel tempo; solo una piccola aggiunta d’acqua fu fatta una volta, per supplire alla perdita per evaporazione. L’acqua era perfettamente limpida e pura. Un leggiero deposito floccoso giallastro s’era accumulato sui fianchi del vaso, ma pochissimo sedimento stava sul fondo. Non avevo preso nota delle piante o degli animali all’atto dell’introduzione; ma poiché nessuno era morto, e nulla era stato né tolto né aggiunto, l’enumerazione seguente vale per il contenuto originario così come per quello riscontrato.

Si trovavano, a quel tempo, nel vaso, le seguenti Alghe, tutte in stato di crescita e attaccate ai frammenti di roccia originari:
— Due cespi di Delesseria sanguinea, ciascuno con numerose foglie.
— Due di Rhodymenia jubata, uno piccolo e l’altro voluminoso.
— Un piccolo Ptilota plumosa, crescente con uno dei due suddetti.
— Un Chondrus crispus, con
— Un’Ulva latissima, parassita su una delle sue fronde.

Queste sette piante avevano, per otto settimane, fornito l’ossigeno richiesto dai seguenti animali, che a quel momento erano tutti vivi e in salute:
— Anthea cereus.
— Actinia bellis, un esemplare grande.
— Actinia bellis, un mezzo adulto.
— Actinia anguicoma, grande.
— Actinia anguicoma, piccola.
— Actinia nivea (MS.).
— Actinia rosea (MS.).
— Actinia rosea, un piccolo esemplare.
— Actinia mesembryanthemum, giovane.
— Actinia mesembryanthemum, giovane, altra varietà.
— Crista denticulata, un grosso ciuffo.
— Coryne ?, giovane.
— Pedicellina Belgica, due colonie numerose.
— Membranipora pilosa.
— Doris (bilineata?).
— Polycera 4-lineata, molto piccola.
— Phyllodoce lamelligera, circa 11 pollici di lunghezza.
— Una massa avvolta di piccoli Anellidi.
— Parecchie Serpule.
— Acaride.
— Entomostraci.
— Infusori.
— Grantia nivea. E altri zoofiti e spugne minori che non seppi identificare.

Poco dopo tale esame intrapresi un viaggio e non tornai che il 7 luglio. Il caldo s’era fatto intenso: se ciò, congiunto con la chiusura della stanza, avesse avuto effetto, non so; ma, al ritorno, trovai l’acqua cominciare a divenire molesta, con una sorta di schiuma alla superficie, e gli animali manifestamente in via di morte. Alcuni erano già periti; la maggior parte degli altri si ristabilì, allorché venne trasferita in acqua marina fresca. Questo esito, benché ponesse fine, per allora, al mio esperimento, non lo reputo conclusivo contro l’ipotesi; poiché ben s’intende che gli animali sono soggetti a morte in qualsivoglia condizione, e il corpo corrotto d’uno di essi, in sì limitato volume d’acqua, ben presto risulterebbe fatale ad altri, quand’anche non mancasse ossigeno alla respirazione. È possibile che una delle grandi Actinie sia occasionalmente morta durante la mia assenza, la cui rimozione in tempo avrebbe potuto risparmiare agli altri le conseguenze; ma ciò è mera congettura. Forse v’era eccesso di vita animale in proporzione al vegetale; ma il mantenimento di tutti costoro in salute e attività per quasi nove settimane pare difficilmente accordarsi con tale supposizione.

Ho sempre trovato fra i fenomeni più sgradevoli, nel corso degli esperimenti, l’apparire, dopo poche settimane, d’una materia verdognola o giallastra attorno alle pareti del vaso, che ne impedisce la trasparenza. Ho ragione di credere trattarsi dello stadio iniziale di piante confervoidi; infatti, filamenti di verdi Confervae presto cominciano a guizzare da tale accumulo, e col tempo probabilmente ingombrerebbero l’acqua. Il suggerimento del sig. Warington, d’impiegare Molluschi fitofagi per liberarsi della materia vegetale che s’addensa, non m’era occorso; è accorto, e potrebbe forse ovviare a tal inconveniente. Io stesso avevo notato che la presenza di alcuni Trochi (ndr molluschi gasteropodi marini) sembrava giovare al mantenimento della purezza dell’acqua, ma non sapevo come renderne ragione.

Se poi tali esperimenti verranno condotti a perfezione, che cosa mai impedirebbe di mantenere raccolte di animali marini per l’osservazione e lo studio, anche in Londra e nelle altre città dell’interno? Un grado di successo quale quello da me conseguito basterebbe a permettere sì desiderabile compimento; poiché, anche in Londra, non incontrerebbesi grande difficoltà a far giungere un vaso d’acqua marina una volta ogni due mesi. Io spero altresì di vedere le leggiadre Alghe marine, finora quasi ignote se non quando compresse fra le pagine d’un libro, crescere nella loro nativa sanità e bellezza, e sventolare le delicate fronde traslucide sui tavoli dei nostri salotti e sugli scaffali delle nostre serre.

Resto, Signori,
di Vostro umilissimo ed obbedientissimo servitore,

P. H. Gosse.
Ilfracombe, 10 settembre 1852.


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