Traduzione e note di Paolo Bernardi
Memorie di osservazione intorno ai piccoli acquari nei quali fu mantenuto costantemente l’equilibrio tra gli organismi animali e vegetali
di Robert Warington, Esq.
(Londra, Apothecaries’ Hall – Marzo 1854)
Dopo la pubblicazione delle mie precedenti memorie sull’equilibrio tra le forme animali e vegetali contenute in una porzione limitata d’acqua dolce, mi parve opportuno riunire alcune delle osservazioni che, nel corso degli anni, avevo potuto accumulare nei piccoli acquari da me custoditi, i quali, in più d’un caso, hanno mostrato di poter mantenere per lungo tempo la vita in uno stato di perfetto equilibrio e purezza.
Nel mio scritto del 1851 esposi il principio generale secondo cui le piante acquatiche e gli animali, opportunamente associati, possono sostenere reciprocamente la propria esistenza: gli animali consumando ossigeno e producendo anidride carbonica, le piante restituendo ossigeno e assorbendo l’anidride carbonica; ed entrambi concorrendo a mantenere immutata la limpidezza e la salubrità dell’acqua.
Le prove allora addotte si riferivano a un solo recipiente, ma da allora ho moltiplicato le esperienze in vari piccoli vasi di vetro, di capacità da una a tre pinte (N.d.R. da 0,6 a 1,7 litri), osservandone i fenomeni per lunghi mesi, talvolta per anni.
Alcuni di essi hanno mantenuto la loro condizione vitale per oltre quattro anni consecutivi, senza che fosse necessario rinnovare l’acqua o aggiungere alcuna sostanza eccetto la minima quantità d’acqua distillata destinata a compensare l’evaporazione naturale.
Questi piccoli mondi d’acqua dolce erano composti, nella loro più semplice forma, di piante di Vallisneria, Elodea e Conferva, cui si aggiungevano alcune chiocciole d’acqua dolce (Planorbis corneus, Limnaea stagnalis, Bithinia tentaculata) e minuscoli crostacei (Cyclops e Daphnia).
In alcuni casi vi introdussi anche un paio di piccoli pesci, per lo più Gasterosteus aculeatus o Phoxinus laevis; ma in questi casi la massa vegetale doveva essere più abbondante, poiché la respirazione dei pesci alterava rapidamente la proporzione dei gas disciolti.
Con tali precauzioni, ho osservato che l’acqua si manteneva per mesi interi limpida come cristallo, e le pareti interne del vaso restavano coperte da un sottile velo verde, formato da microscopiche piante unicellulari che contribuivano, con la loro vitalità, al perfetto bilanciamento dell’insieme.
I Planorbis, aderendo a queste superfici, vi lasciavano tracce serpeggianti del loro passaggio, e la loro costante attività preveniva l’eccessiva proliferazione delle alghe.
A intervalli regolari, si poteva notare la comparsa di minute bollicine che si staccavano dalle foglie della Vallisneria, segno certo della produzione d’ossigeno sotto l’influsso della luce.
Quando la giornata era nuvolosa o la luce scarseggiava, la formazione di bolle diminuiva e gli animali si mostravano meno vivaci, prova evidente della reciproca dipendenza fra i due regni della vita.
In uno di questi piccoli mondi chiusi, osservai un fenomeno singolare: un Planorbis corneus, dopo avere deposto una massa gelatinosa d’uova su una foglia di Elodea, rimase per molti giorni a vigilare la sua prole nascente, quasi che un istinto di cura parentale lo trattenesse in quel luogo.
Non posso affermare che vi fosse vera custodia, ma la coincidenza fu degna di nota.
Nel complesso, tali esperimenti confermano la mia prima teoria: che, entro certi limiti, la vita animale e quella vegetale possono mantenersi in mutua armonia per un periodo indefinito, purché siano rispettate le proporzioni naturali e assicurata una quantità di luce sufficiente ma non eccessiva.
Dopo i risultati ottenuti con l’acqua dolce, ritenni che lo stesso principio potesse applicarsi, con le dovute precauzioni, all’acqua del mare.
Cominciai dunque, sul finire del 1851, a compiere esperimenti con acqua marina naturale, ricevuta in botti dai battelli d’ostriche provenienti dal Canale della Manica e portata ai mercati di Billingsgate.
La prima difficoltà che incontrai fu quella di trovare vegetali adatti al nuovo ambiente.
Le alghe brune e rosse, che a prima vista sembravano le più promettenti, si rivelarono poco stabili: si decomponevano rapidamente, intorbidendo l’acqua e corrompendola con miasmi putridi.
Solo le Ulva ed Enteromorpha, fissate a frammenti di roccia e provenienti dalle coste di Broadstairs, mostrarono una vitalità durevole.
Queste piante, con la loro continua produzione di ossigeno, si dimostrarono perfette controparti marine delle Vallisnerie e Elodee impiegate negli esperimenti d’acqua dolce.
Come popolazione animale introdussi alcune chiocciole marine del genere Littorina, le comuni Periwinkles, poiché esse, nutrendosi di alghe e scorie vegetali, mantenevano pulite le superfici e restituivano equilibrio al sistema.
Scelsi anche qualche piccola Actinia mesembryanthemum, che si adattava mirabilmente alla vita in cattività, nonché due o tre esemplari di Asterias rubens, per saggiare la loro resistenza.
Per molti mesi, la vita all’interno di questi piccoli mondi marini si mantenne serena e prospera.
Le alghe si rinnovavano, le Littorine brucavano incessantemente le superfici, e l’acqua conservava limpidezza e fragranza marina.
Talvolta, durante i giorni di sole, bollicine d’aria s’innalzavano dalle fronde verdi, segno dell’attività vegetale, e la sera si poteva osservare un leggero torpore negli animali, quasi rispecchiando il riposo della natura stessa.
Dopo i primi esperimenti, ritenni opportuno costruire un vaso più ampio e stabile, con fondo di sabbia fine e pietruzze marine, coperto da una lastra di vetro per ridurre l’evaporazione.
La luce solare vi penetrava solo per riflesso, così che non si sviluppavano eccessive alghe filamentose.
In tale condizione, il sistema si mantenne perfettamente bilanciato per oltre un anno, e alcuni esemplari di Actinia vissero e si riprodussero senza segno di sofferenza.
Col tempo, mi accorsi però che la densità dell’acqua marina mutava sensibilmente con la stagione e con l’evaporazione.
Perciò impiegai un piccolo areometro (N.d.R. l’attuale densimetro), onde assicurarmi che la densità rimanesse prossima a 1,026 a 60°F (circa 15 °C).
Se la densità scendeva, vi aggiungevo un pizzico di sale marino; se aumentava, compensavo con acqua distillata.
Con questa cura costante, l’acqua conservò sempre la sua trasparenza e vitalità.
Non mancarono, tuttavia, episodi inattesi.
Alcuni crostacei, specie i piccoli Cancer maenas e Carcinus, si rivelarono predatori insidiosi: aggredivano molluschi e vermi tubicoli, e talora mutilavano gli Asterias.
Fu necessario separarli in piccoli recipienti individuali, dove poterono essere osservati senza nuocere agli altri abitanti.
In una di queste vasche marine, osservai con meraviglia la formazione spontanea di una piccola colonia di policheti (Serpula e Sabella), che costruirono i loro tubi calcarei sul vetro stesso del recipiente.
La presenza di tali forme, nate probabilmente da uova o frammenti invisibili nell’acqua di mare originaria, confermava la perfetta idoneità del sistema a sostenere la vita marina per lunghi periodi.
Nel luglio del 1853, aggiunsi alcuni minuscoli pesciolini (Gobius minutus) e un piccolo Cottus bubalis.
Essi prosperarono per più di sei mesi, alimentandosi dei piccoli crostacei che nascevano spontaneamente tra le alghe e i frammenti di sabbia.
Uno di essi, un Gobius, sopravvisse all’inverno e mostrò perfetta salute fino alla primavera successiva, testimonianza eloquente dell’equilibrio raggiunto.
Talvolta, una temporanea torbidità dell’acqua indicava un eccesso di materia organica; bastava allora rimuovere un poco di sedimento o alcune foglie deteriorate, e il sistema presto si ristabiliva.
Ciò mi convinse che la chiave di questi esperimenti non risiede in complesse apparecchiature o in continui ricambi d’acqua, ma nella giusta proporzione tra la vita vegetale e quella animale, e nel mantenimento di condizioni di luce, temperatura e purezza moderate.
Questo principio, già dimostrato nelle acque dolci, trova qui conferma ancor più grandiosa nel regno marino, ove la diversità delle forme viventi è infinitamente maggiore e più delicata.
È mio convincimento che, una volta ben compreso, esso potrà condurre non soltanto a un piacere domestico e scientifico, ma anche a nuovi vantaggi nello studio della fisiologia e della chimica dei fluidi viventi.
Dalle esperienze ora esposte, si può trarre la certezza che, entro limiti ben determinati, sia l’acqua dolce che quella marina possono essere mantenute in perfetta purezza e fecondità per lunghi periodi, senza rinnovamento o intervento artificiale, purché venga rispettata la giusta proporzione fra gli esseri che in esse vivono.
È un piccolo ma importante riflesso dell’ordine stesso della Natura, dove ogni creatura, grande o minuta, contribuisce a un equilibrio che non si mantiene che per la loro mutua cooperazione.
Nel corso delle mie osservazioni, fui più volte colpito dall’armonia con cui le forze vitali sembrano agire, persino nei più semplici di questi organismi.
Quando la luce del giorno risplende sulle foglie della Vallisneria o dell’Ulva, si scorgono innumerevoli globuli d’aria che salgono in superficie come minuscoli diamanti; essi sono il segno della vita vegetale che, attraverso la sua azione chimica, rinnova l’aria dell’acqua e prepara il respiro per i suoi compagni animali.
Allo stesso tempo, le creature che vi abitano — i molluschi, i crostacei, i piccoli pesci — restituiscono al fluido quelle materie che le piante richiedono per la propria crescita.
È una circolazione invisibile, ma continua e perfetta.
Tuttavia, la minima alterazione di questo equilibrio può essere fatale.
Una quantità eccessiva di luce, o un’improvvisa diminuzione di temperatura, o l’introduzione d’un organismo inappropriato, bastano a sconvolgere il sistema e produrre corruzione.
Ho notato che l’acqua dei miei acquari rimaneva purissima solo quando la luce era moderata, diffusa e non diretta; la temperatura compresa tra 50 e 65 gradi Fahrenheit (10–18 °C); e la ventilazione della stanza libera da vapori o gas provenienti da combustioni.
Inoltre, è indispensabile evitare ogni eccesso di popolazione animale.
Alcuni di coloro che tentarono d’imitare i miei esperimenti fallirono, introducendo troppe creature in troppo poco spazio.
Il risultato fu sempre lo stesso: le piante non bastavano a purificare l’acqua, questa si guastava, e la morte di pochi individui accelerava la rovina degli altri.
Quando, invece, il numero era moderato e le piante rigogliose, l’acqua rimaneva cristallina per mesi, e gli animali vivevano con salute sorprendente.
Per assicurare la continuità dell’esperimento, non occorrono mezzi complessi: un recipiente di vetro ben lavato, acqua pura (dolce o marina secondo il caso), alcune piante sane, e pochi animali scelti con discernimento.
L’aggiunta, di tanto in tanto, d’una goccia d’acqua distillata per compensare l’evaporazione, e l’asportazione d’ogni residuo in putrefazione, completano le cure necessarie.
In tal modo, anche un vaso di modeste dimensioni può divenire un microcosmo autosufficiente, un piccolo mare o lago in miniatura, ove le leggi della vita si manifestano con la stessa perfezione che nei vasti oceani.
Confesso che tali risultati, sebbene di piccola scala, mi hanno procurato non poco diletto e non poca meditazione.
Essi mostrano come, anche entro le pareti d’una stanza, l’uomo possa contemplare la saggezza del Creatore nell’armonia delle Sue opere.
Vedere un’Actinia che si apre e si chiude col ritmo del giorno, o un’umile Littorina che pascola tranquilla sull’alghe, non è spettacolo meno degno di ammirazione che il volo d’un’aquila o il corso d’un fiume.
Mi sembra che questi esperimenti, oltre al loro interesse scientifico, possano avere anche valore educativo.
Essi insegnano il rispetto per la vita, la pazienza dell’osservazione e la bellezza dell’ordine naturale.
Se condotti con cura, possono rendere familiari, anche al giovane studioso o al dilettante, le leggi fondamentali della fisiologia e della chimica vivente.
In conclusione, quanto ho potuto osservare mi induce a credere che tali “acquari naturali” non solo forniscono oggetto di piacevole studio e di ornamento domestico, ma che possono servire anche a ricerche più profonde sulla respirazione, sull’assimilazione e sulla circolazione dei gas nei liquidi vitali.
E non mi stupirei se, in un prossimo avvenire, essi divenissero strumenti ordinari del naturalista e del filosofo naturale.
Apothecaries’ Hall, Londra – Marzo 1854
Robert Warington

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